L’avevamo detto quando tra le tende ancora si girava in maniche corte che le C.A.S.E non avrebbero costituito una valida soluzione per i cittadini di L’Aquila e dintorni: per il numero di sfollati che avrebbero ospitato, per le tempistiche di consegna (riviste decine forse centinaia di volte), per l’impatto sul tessuto urbano e sociale cittadino.
I punti del resto li abbiamo più volte snocciolati (e denunciati) nel dettaglio nel corso di questi mesi, adesso la priorità è quella di dar voce ai tanti rimasti in tendopoli, chiusi negli alberghi, costretti ad emigrare altrove, ossia a quella che di fatto costituisce la maggioranza degli aquilani, una maggioranza da tempo sparita dai radar dei media poichè non funzionale all’immagine e alla propaganda di governo e protezione civile.
Ecco una recente testimonianza che mi ha spinto a scrivere
nuovamente dopo mesi di lontananza forzata dall’Abruzzo, passate
parola:
"Facciamo appello a tutti
coloro che in Italia hanno dimostrato sensibilità a quanto qui è successo e
continua ad accadere.
A chi ha mantenuta alta
l’attenzione sul dramma che ha colpito il nostro territorio e sulla gestione
del post sisma.
Oggi, il 18 di ottobre,
all’Aquila fa freddo. Siamo nella fase più drammatica, la notte già si sfiorano
i -5°C ed
andiamo incontro all’inverno, un inverno che sappiamo essere spietato.
Le soluzioni abitative,
promesse per l’inizio dell’autunno, non ci sono. Circa 6000 persone sono ancora
nelle tende.
Meno di 2000 persone sono
finora entrate negli alloggi del piano C.A.S.E o nei M.A.P.
La maggior parte degli
aquilani sono sfollati altrove in attesa da mesi di rientrare. Ora, con lo smantellamento
delle tendopoli altre migliaia di persone sono state allontanate dalla città e
mandate spesso in posti lontani e difficilmente raggiungibili.
Noi, definiti “irriducibili”,
siamo in realtà persone che (come tutti gli altri) lavorano in città, i nostri
figli frequentano le scuole all’Aquila, molti non sono muniti di un mezzo di
trasporto, altri possiedono terreni od animali a cui provvedere. Siamo persone
che qui vogliono restare anche per partecipare alla ricostruzione della nostra
città.
Da oltre sei mesi viviamo in
tenda, sopportando grandi sacrifici, ma con questo freddo rischiamo di non
poter più sopravvivere.
Se non accettiamo le
destinazioni a cui siamo stati condannati (che sempre più spesso sono
lontanissime) minacciano di toglierci acqua, luce, servizi.
Oggi, più di ieri, abbiamo
bisogno della vostra solidarietà.
Gli enti locali e la
Protezione Civile ci hanno abbandonati. Secondo le ultime notizie che ci
giungono i moduli abitativi removibili che stiamo richiedendo a gran voce da
maggio, forse (ma forse) arriveranno tra 45 giorni.
Oggi invece abbiamo bisogno
di roulotte, camper o container abitabili e stufe per poter assicurare una
minima sopravvivenza. Visto che le nostre richieste alla Protezione Civile e al
Comune non sono prese in minima considerazione chiediamo a tutti i cittadini
italiani un ulteriore sforzo di solidarietà.
E abbiamo anche bisogno di
non sentirci soli.
Per questo vi chiediamo di
organizzare dei presidi nelle piazze delle città italiane per SABATO 24 OTTOBRE
portando nel cuore delle vostre città delle tende per esprimere concretamente
solidarietà a noi 6000 persone che viviamo ancora nelle tende ad oltre sei mesi
dal sisma.
Un altra emergenza è
cominciata oggi. Non dettata da catastrofi naturali ma dalla stessa gestione
del post sisma, da chi questa gestione l’ha portata avanti sulla testa e sulla
pelle delle popolazioni colpite.
Alcuni abitanti delle tendopoli sotto zero
Per donazioni e
contatti:
emergenzaottobre2009@gmail.com
3391932618
3470343505"
Nei primi mesi la necessità è stata quella di raccogliere e distribuire alimenti e beni primari, e in qualche modo si è riusciti, pur tra mille difficoltà, ad organizzare centri di raccolta e smistamento, intervenendo laddove i nostri (e vostri) mezzi ci hanno concesso di arrivare. Adesso chiedersi di intervenire materialmente sul disastro abitativo e sociale prodotto dalle sciagurate politiche di questi mesi è forse chiedersi troppo. Ma non meno importante, accanto al supporto di tutte le forme di lotta necessarie, è non stancarsi di raccontare la realtà del contesto aquilano e far circolare il più possibile testimonianze come questa, prima che l’assioma "in abruzzo va tutto bene" si solidifichi indelebilmente nell’opinione pubblica, condannando all’oblio le vite di migliaia e migliaia di persone.